Giappone: svolta storica?

26 Marzo 2024 _ News

Giappone: svolta storica?

L’aumento dell’inflazione, che dopo la pandemia e lo scoppio del conflitto russo-ucraino ha messo in difficoltà tutte le economie avanzate, ha infine raggiunto anche il Giappone.
Quindi, il 19 marzo 2024, mentre l’Occidente attende trepidante un taglio dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali, il governatore della Bank of Japan Kazuo Ueda annuncia uno storico rialzo dei tassi di riferimento da –0,1% a un range compreso tra 0 e 0,1%, dopo 8 anni in territorio negativo e a 17 anni dall’ultimo rialzo.
Per comprendere le mosse della Banca centrale nipponica, in controtendenza rispetto agli altri paesi sviluppati, bisogna riavvolgere il nastro e fare un salto nel passato.

Torniamo indietro nel 1989. Mentre in Europa si festeggia il crollo del muro di Berlino e il Milan degli immortali vince la Coppa dei Campioni, il Giappone si trova nel pieno del suo miracolo economico, vantando un PIL pro capite superiore a quello degli USA, e un Nikkei 225 che, triplicando la capitalizzazione di tre anni prima, toccava il suo massimo storico (superato soltanto quest’anno). La rapida crescita economica era stata alimentata da un eccesso di offerta di moneta (10-12% a fronte di una crescita dei redditi reali attorno al 6%) causato dall’aumento dei prestiti a basso tasso di interesse da parte delle banche. La grande liquidità disponibile, però, era stata investita per lo più in attività speculative nel mercato immobiliare e azionario, provocando la formazione di una bolla. Quando la Banca Centrale giapponese ha iniziato ad alzare i tassi di interesse, portandoli dal 2% al 6% in soli 2 anni, il conseguente aumento del costo del debito ha innescato un incremento dell’insolvenza, risultando nello scoppio della bolla speculativa e in una crisi del mercato immobiliare e finanziario (un film rivisitato in chiave occidentale dagli Stati Uniti nel 2008).
L’iniziale risposta inadeguata del governo e della banca centrale, sommata agli effetti esterni della crisi finanziaria asiatica del 1997 e della grande recessione del 2007, avvenute proprio nei momenti di parziale ripresa del Giappone, hanno protratto la stagnazione economica per oltre un ventennio, definito il “ventennio perduto”.

Dal 1992 ad oggi, il PIL pro-capite (a prezzi correnti) del Giappone è passato da 32.000 a circa 34.000 dollari. Per intenderci, nello stesso periodo, il PIL pro-capite degli Stati Uniti è cresciuto da 25.000 a circa 80.000 dollari. Di fatti, dal 2000 fino al 2012, l’economia del sol levante ha quasi sempre vissuto in un ambiente deflattivo, costringendo la banca centrale a mantenere i tassi d’interesse costantemente attorno allo zero, in quello che, secondo le teorie keynesiane, veniva considerato il limite naturale sotto il quale i tassi non potessero scendere (Zero Lower Bound), imprigionando il paese in una trappola di liquidità che rende inefficace la politica monetaria. Con l’Abenomics, la serie di riforme volte a rivitalizzare l’economia implementate tra il 2012 e il 2020 dall’allora primo ministro Shinzo Abe, i tassi sono stati portati sotto lo Zero Lower Bound attraverso politiche monetarie non convenzionali come il Quantitative and Qualitative easing (acquisto non solo di titoli di stato ma anche di fondi del mercato azionario e di titoli legato al settore immobiliare) e lo Yield Curve Control (il controllo della curva dei tassi), rendendo la banca centrale nuovamente abile ad influenzare l’economia. Questo, accompagnato dal deprezzamento dello yen e dall’aumento della spesa pubblica, ha permesso il passaggio da uno stato di deflazione ad una leggera inflazione e ha dato un impulso iniziale all’economia giapponese, la quale, però, ha mantenuto tassi di crescita del PIL inferiori alla media delle altre economie avanzate.

L’annuncio della BoJ di pochi giorni fa rappresenta, dunque, un inizio di “normalizzazione” della politica monetaria, in cui il Quantitative and qualitative easing e lo yield curve control lasceranno nuovamente spazio a politiche convenzionali, applicabili solo con tassi sopra lo 0. Nella sua decisione, la banca centrale sottolinea il rafforzarsi della prospettiva che, grazie alla crescita dei salari e della domanda interna, “l’obiettivo di stabilità dei prezzi del 2% venga raggiunto in modo sostenibile e stabile”, sebbene ammetta la presenza di “incertezze estremamente elevate riguardo l’attività economica e i prezzi del Giappone” derivanti soprattutto dagli sviluppi nelle economie estere.
Nel frattempo, con la banca centrale giapponese che ha ben segnalato le proprie intenzioni, i mercati non hanno vissuto particolari scosse nella settimana dell’annuncio. Il Nikkei 225 ha proseguito l’andamento positivo che lo ha caratterizzato da inizio anno, maturando un +22% da gennaio 2024 che lo rende l’indice più performante tra le economie avanzate, mentre lo Yen si è mantenuto abbastanza stabile. L’apprezzamento della valuta giapponese all’inizio della settimana corrente, che ha portato a una correzione al ribasso del mercato, non ha nulla a che fare con la decisione della BoJ, ma, piuttosto, è imputabile alle parole del viceministro delle finanze Masato Kanda, che ha posto l’attenzione sulla debolezza dello yen rispetto ai suoi fondamentali, a suo avviso per causa di movimenti speculativi.

Le conseguenze, però, potrebbero essere molto più profonde nel caso in cui il processo di normalizzazione riesca a portare i tassi di interesse a un livello più distante dallo 0%.
Una potenziale implicazione, ad esempio, potrebbe essere una maggiore volatilità dello yen.  Dal momento che il Giappone ha mantenuto i tassi sempre a 0 o sotto negli ultimi 30 anni, la valuta si è mantenuta sempre abbastanza stabile. Questo lo ha resa la valuta preferita degli investitori che effettuano carry trade, una strategia in cui si prende in prestito in una valuta a basso rendimento per finanziare investimenti in valute e attività ad alto rendimento, e la valuta utilizzata da aziende e governi in periodi di crisi, che emettono samurai bonds sul mercato nipponico. Un aumento consistente dei tassi, magari coincidente ad un taglio da parte degli altri paesi avanzati, potrebbe portare ad un apprezzamento dello yen e alla fine delle dinamiche descritte prima.
Inoltre, un rialzo dei tassi potrebbe essere di grande beneficio per le banche locali che vedrebbero aumentare la loro redditività e, di conseguenza, la loro attrattiva per gli investitori stranieri. Di fatti, di fronte alle aspettative di aumento dei tassi, il prezzo dei principali titoli finanziari giapponesi è schizzato verso l’alto. Nell’ultimo anno, Mitsubishi UFJ Financial Group ha registrato un +90%, Mizuho Financial Group un +65% e Sumitomo Mitsui un +74%.

Ad ogni modo, appare attualmente improbabile pensare ad uno spostamento duraturo verso tassi più elevati, come d’altronde confermato dalla BoJ che “anticipa che le condizioni finanziarie accomodanti verranno al momento mantenute”.
Il Giappone, infatti, è ancora alle prese con le grandi sfide strutturali che ne hanno caratterizzato la storia recente.
In primis, esso detiene il record come Stato più indebitato al mondo in termini di rapporto debito/PIL, che ammonta al 250%. Il paese è stato in grado di sostenere un livello così alto di debito principalmente grazie alla particolare natura dei suoi detentori, dal momento che larga parte dei bond è detenuta da investitori nazionali e dalla Bank of Japan. Quindi, una riduzione dei titoli di stato in mano alla banca centrale ed un incremento consistente dei tassi potrebbero aumentare la porzione di debito detenuta da investitori internazionali, rischiando di rompere l’equilibrio del debito nipponico.
Un altro grande problema è rappresentato dall’invecchiamento della popolazione. A proposito di record, infatti, la popolazione giapponese è la più anziana del mondo, con il 10% di ultraottantenni e quasi il 30% di over 65 (nel secondo paese più anziano, l’Italia, sono il 23%). In più, il tasso di fertilità di 1,2 è ben al di sotto del tasso di 2,1 considerato necessario per mantenere la popolazione stabile. Questo implica una sempre maggiore pressione sul sistema previdenziale, un aumento della propensione al risparmio e una diminuzione della propensione al consumo e agli investimenti. Tutti ingredienti che potrebbero spingere nuovamente al ribasso i prezzi.

In conclusione, è ancora presto per definire la nuova politica monetaria come “storica” o piuttosto come “episodica”. Al momento, infatti, non possiamo stabilire se ci troviamo di fronte all’inizio di un nuovo ciclo economico, finalmente svincolato dalla trappola di liquidità nella quale stagnava da troppo tempo, o dinanzi alla vigilia di una nuova lunga fase di stasi dei tassi e quindi della crescita stessa del paese.
Certo è che si tratta comunque di un buon punto di partenza che può lasciar ben sperare, e che ci porta, di fatto, a riprendere in considerazione un’esposizione sull’azionario giapponese, da molto tempo assente dai nostri portafogli.

 

 

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